Il kamut: viaggio fra storia, leggenda e marketing

Con l’affermarsi della tendenza a prestare sempre più attenzione all’alimentazione e a ciò che è sano — o si reputa tale — negli ultimi anni sono stati sempre più pubblicizzati dall’industria alimentare i cosiddetti grani antichi, particolari varietà di grano che erano state abbandonate perché poco remunerative da un punto di vista commerciale.
Infatti, nonostante abbiano rese più basse rispetto al frumento, possono essere vendute a un prezzo superiore grazie al favore che incontrano presso i consumatori in quanto percepiti come naturali e dalle particolari proprietà nutrizionali.
Il cereale che più di tutti ha avuto successo è il Kamut.

Al contrario di ciò che si pensa “Kamut” non è il nome di un grano, ma un marchio commerciale che la società Kamut International ltd ha posto su una varietà di frumento registrata negli Stati Uniti, coltivata e venduta in regime di monopolio e famosa in tutto il mondo grazie a un’operazione di marketing senza precedenti.
Ma partiamo dall’inizio.

La storia, fra realtà e fantasia

La leggenda, costruita ad arte, narra che dopo la seconda guerra mondiale, un pilota militare americano ritrovi, in una tomba Egizia, dei semi che poi regala a un agricoltore del Montana. Quei semi vecchi di quattromila anni, una volta piantati, incredibilmente germinano. I chicchi così risvegliati consentono l’avvio di una produzione che solo anni dopo, grazie ai Quinn, una famiglia di agricoltori, inizierà la loro fortuna.

Nel 1987 infatti Bob Quinn, decide di usare un nome egizio per dare un’identità riconoscibile a quel tipo di grano e commercializzarlo, da qui il nome Kamut (grano, pane in Egizio). Il nome venne registrato e venne fondata la Kamut International.

In realtà, il grano oggi conosciuto come Kamut, non è certo vecchio di quattromila anni. Esso viene da secoli coltivato in alcune regioni dell’Asia e dell’Africa settentrionale, dove è ancora possibile trovarlo con il nome di grano Khorasan, dal nome della provincia dell’Iran dove si coltivava e si coltiva anche oggi. Per avere una manciata di semi di grano Khorasan non era quindi necessario scomodare i faraoni ma bastava comprarlo e avviarne la produzione. In realtà pare che il Kamut sia, fra le altre cose, una selezione relativamente moderna di questo grano orientale.

La classificazione

Le differenze fra il grano Khorasan e il comune frumento sono davvero poche. Innanzitutto entrambi appartengono al genere Triticum, che comprende molte centinaia di specie diverse, di cui alcune molto conosciute come il grano duro (Triticum turgidum durum) con cui si produce la pasta, e quello tenero (Triticum aestivum) usato per lo più per il pane e la pasticceria. Fra queste troviamo per esempio anche il farro (Triticum dicoccum). Nel corso dei secoli sono state coltivate in giro per il mondo, molte altre sottospecie di Triticum turgidum, geneticamente simili fra loro come il Triticum turgidum turanicum o grano Khorasan.

Inoltre la differenza nutrizionale con il grano duro è davvero irrisoria, e ancora meno percepibile se confrontato ad esempio con il farro o con altre varietà di grano duro meno commerciali. Essendo semplicissimo frumento, esso contiene glutine e non è quindi adatto all’alimentazione dei celiaci. Anzi, poiché i grani meno commerciali mantengono più elevata la frazione proteica rispetto ai grani moderni, il suo contenuto di gliadine e glutenine (le proteine del glutine) risulta addirittura più elevato.

Il successo

Il fatto che il grande pubblico sia stato indotto ad associare il nome Kamut, un marchio registrato, al grano Khorasan è una strategia di marketing decisamente efficace. Nessuno lo può usare se non alle condizioni della Kamut International. Qualsiasi agricoltore può seminare il grano Khorasan, ma non lo può chiamare Kamut. Nessuno però vuole comprare la pasta di un semplice grano orientale, ma tutti cercano quella di Kamut.

Il valore commerciale di un raccolto di grano Khorasan a causa della bassa resa, finisce per essere talmente basso da non ripagare le spese della coltivazione. Se un agricoltore vuole vendere il prodotto come Kamut, non può farlo senza l’autorizzazione della società e il relativo pagamento delle royalties.

Solo le aziende autorizzate, scelte in base alle esigenze di mercato dalla Kamut International, possono acquistare, commercializzare e macinare questo cereale e si trovano quasi esclusivamente negli Stati Uniti e nel Canada. Inoltre tutto il Kamut spedito in Europa arriva in Belgio e viene commercializzato da un’unica società, la Ostara, che a sua volta lo rivende agli acquirenti autorizzati nelle varie nazioni attraverso una filiera molto lunga e sicuramente antiecologica.

La bassa resa delle coltivazioni, il numero limitato di aziende che lo producono, il regime di monopolio con cui è commercializzato, i costi del lungo trasporto, fanno sì che il prodotto finito Kamut costi quattro volte più del suo equivalente grano duro.

Tuttavia il Kamut — e qui la cosa si fa davvero strana — viene venduto principalmente nei negozi di cibi biologici, ecosostenibili, naturali e a “km zero”. Se da una parte è vero che proviene da agricoltura biologica (anche se secondo la legislazione Americana, che non sempre è sinonimo di qualità) è anche chiaro come, per arrivare nel negozio sotto casa, quel cereale abbia dovuto viaggiare attraverso i continenti. Soprattutto quando un prodotto del tutto simile è coltivato anche qua da noi.

Inoltre, cosa ancora più grave, il Kamut viene spesso consigliato a chi risulta sensibile al glutine o intollerante al frumento. Come se fosse un cereale diverso, come se non contenesse glutine.

Ciò che è alla base del successo del Kamut è essenzialmente l’idea imprenditoriale e il marketing che ha fatto leva su tre aspetti: la suggestiva leggenda del suo ritrovamento, l’attribuzione di eccezionali qualità nutrizionali e l’idea di salute che viene attribuita ai cereali meno commerciali rispetto a quelli moderni.

Ancora convinti che i vostri grissini di Kamut siano una scelta corretta?

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